martedì 29 luglio 2008

democrazia finale




Come è poco nobile e molto italiano il dibattito sulla sentenza che ha concesso ai famigliari di Eluana Englaro di staccare la spina dopo 16 anni di stato vegetativo.

Temi enormi: la vita e la morte di una persona.
Temi che vanno sulle prime pagine dei giornali o dei rotocalchi con la stessa leggerzza con cui ci vanno le tette di una modella: giusto per fare due chiacchiere sotto l'ombrellone, io sono daccordo, no io sono contrario, passami la crema, andiamo a fare il bagno che sono gia le 11......
Cosa centra questo con Eluana e con un padre che deve fare i conti da 16 anni con una tragedia iccommensurabile?

Che deve confrontarsi con la volontà espressa chiaramente dalla figlia e che nessuno gli ha fino ad ora consentito di rispettare.

Per questo nutro il piu forte disprezzo nei confronti di chi dibatte sulle pagine dei giornali o nei salottini televisivi estivi, su una questione tanto grande e tanto privata. Ho il più forte disprezzo nei confronti di Giuliano Ferrara capopolo, insieme al clero, per l'ennesima volta di una crociata che non li riguarda.
Che ne sanno loro di cosa prova Beppino Englaro ogni volta che entra nella stanza della figlia da 16 anni, quali sono i suoi dubbi e i suoi pensieri, quale è il suo stato d'animo nell'affrontare tutto questo?
Io lo dico chiaramente anche qui, come l'ho gia detto a mia moglie, magari scritto un domani vale di più: se la situazione fosse irreversibile chiedo che mi lascino volare via, verso un altrove del quale non ho idea, ma sicuramente migliore di una condizione come quella di Eluana Englaro e di quelli come lei. Chiedo rispetto per una scelta insindacabile.

Non vorrei mai che il vescovo o il Ferrara della situazione prendessero parte ad una decisione che alla fine dei fatti riguarda solo me o al massimo dei miei famigliari.

Stiano alla larga, cosi come dovrebbero stare alla larga dalla famiglia Englaro.

L'anima di Eluana è gia andata via da tanto tempo, lascino andare via anche il resto.



mercoledì 16 luglio 2008

Noi aspettiamo ancora


Ho sempre pensato nel bene e nel male che le sentenze della Magistratura vadano comunque rispettate.
E' uno dei principi fondamentali di uno Stato democratico.
Anche per questo penso sia giusto attendere il terzo grado di giudizio per mettere la parola fine, dal punto di vista giudiziario del massacro della scuola Diaz durante il G8 a Genova nel 2001.
Ho fiducia, come spesso è accaduto, che giudici più sereni nei gradi successivi sappiano valutare al meglio ciò che è accaduto e che ha trasformato un pezzo d'Italia per alcune ore in un angolo buio fuori da ogni principio democratico e umano.
E' ancora invece ben più lontana la parola "fine" dal punto di vista politico, il vero nocciolo di tutta la questione: chi c'era in cabina di regia, chi dava gli ordini, chi ha armato il manganello degli agenti, chi ha gestito la sicurezza in quei giorni.
Temo sia uno di quei fatti che va ad aggiungersi alla lunga lista di misteri che hanno caratterizzato la storia del nostro paese dal dopoguerra in poi e che ancora oggi gridano verità e si schiantano contro il solito vecchio e tanto caro ad alcuni muro di gomma.
Però c'è anche un pezzo di Paese che non dimentica.
Che continua ostinatamente a cercare e ad aspettare la verità.
Che tiene viva la memoria nel rispetto delle vittime.
Sempre. Per sempre.

mercoledì 2 luglio 2008

e' Palio


Oggi alle 19.30 usciranno dall'entrone del Palazzo Comunale i dieci cavalli che correranno per il Palio dedicato alla Madonna di Provenzano. E' il momento topico della festa, quello che ogni senese attende per un anno intero: il momento in cui una piazza di cinquantamila persone vocianti si zittisce completamente e in un silenzio surreale carico di tensione e speranza, accompagna i 10 barberi verso i due canapi per l'inizio della corsa.
La festa iniziata il 29 giugno con l'assegnazione a sorte dei cavalli alle contrade, oggi vive il suo giorno più lungo. Un giorno iniziato ieri sera con le cene in tutte le 17 contrade di Siena, nelle quali tra un bicchiere di vino e l'altro, sono saliti fortissimi canti antichi che risalgono pari pari all'età di Pinturicchio. Canti per caricarsi e sfidare la cabala in vista dei tre giri di piazza, canti per sfidare la contrada nemica, canti di orgoglio e di appartenenza al proprio rione. Canti di attesa e speranza.
Una città intera divisa nelle strade dei rispettivi rioni, partecipa a questa liturgia antica e uguale da secoli che si perpetua di generazione in generazione giorno dopo giorno bel al di là dei 4 giorni di festa 2 volte l'anno. In tutto questo susseguirsi di emozioni incredibili, l'unico vero eroe è sempre e soltanto il cavallo. Venerato e guardato dai contradaioli come nessun'altro. Unica variabile vera del palio, perchè ben diversamente dai fantini stessi, i cavalli non subiscono il fascino del denaro. Corrono sul tufo anche quando perdono il fantino, come fosse per loro un piacere vero continuare la corsa, stare davanti agli altri, provare ad andare più veloci.
Il cavallo resta immortale nelle vittorie del palio, qui a Siena tutti si ricordano dei cavalli molto più dei fantini che li hanno montati. Panezio, Folco, Topolone, Quebel, Giacca, Berio, Rimini, Urbino, Benito restano indimenticabili.
Domani il suono di Sunto, il campanone bronzeo che sta in cima alla Torre del Mangia farà sentire i suoi rintocchi tutto il pomeriggio fino al momento della corsa, rintocchi che rimbombano in tutta Siena e nelle campagne circostanti. E' un suono anch'esso antico carico di storia e di vicende accadute ai suoi piedi.
Quando Sunto smette di battere i suoi colpi e il suo eco ancora si espande oltre i tre colli di Siena verso le campagne del Chianti, già la piazza è muta.
Poi c'è il Palio.
Un minuto in mezzo unico al mondo e irripetibile, come scrisse qualcuno, in nessun altro luogo del pianeta che non sia la conchiglia di tufo della Piazza del Campo di Siena.
Poi la Festa sarà solo e soltanto per uno. Non esistono i piazzamenti, non esiste podio, non eiste l'uscita a testa alta. Conta solo e soltanto vincere.
Disse una volta Andrea Degortes detto Aceto: "perchè a Siena c'è questa strana abitudine per la quale se non vinci il Palio, lo perdi."